Recupero Dati

Quando si ha a che fare con macchine come computer, pc, tablet, notebook e via discorrendo si ha sempre a che fare con i dati registrati al loro interno. Che si tratti di documenti importanti o di semplici file per la routine del computer, questi sono sempre immagazzinati all’interno della memoria complessiva della macchina.

A volte però, per un motivo o per un altro, questi dati vengono compromessi, andando perduti per sempre e cancellati dalla memoria.


È davvero così che funziona?


Grazie al recupero dati effettuato da grandi centri assistenza o da esperti dell’informatica, infatti, riportare in vita dei dati persi non è affatto una cosa impossibile ed anzi, risulta essere anche un processo particolarmente noto nell’ambiente, conosciuto come data recovery.


Nel campo delle indagini giudiziarie, il recovery consiste nel recupero di materiale precedentemente transitato e/o cancellato, su computer di persone sottoposte ad indagini.

Il data recovery, noto in italiano come semplice “recupero dati”, è un processo di informatica portato avanti da esperti di settore che consiste nel recuperare dei dati immagazzinati nei supporti di memoria delle macchine, creduti ormai perduti. Si tratta di un’operazione che, anche se complessa, risulta essere quasi sempre possibile, anche in presenza di dati criptati.

Il recupero dati è quindi un importante servizio, in grado di gestire la ricostruzione di dati che sono stati perduti a seguito di un imponente “danno”, che può essere di natura logica che fisica. Più che di “ricostruzione”, sarebbe più opportuno parlare di recupero o ripristino.


I danni logici sono quelli più comuni quando viene richiesto un procedimento di data recovery. Si tratta di danni derivanti da bug all’interno dell’unità dedita alla memorizzazione stessa. In questi casi, il tecnico informatico interagisce direttamente con il file system, sistemando il danno e recuperando i file.

In molti casi il danno che comporta la perdita di dati è di tipo logico, cioè è legato al sistema logico di memorizzazione ovvero il file system, ad errori dell'operatore o altro e non comporta un difetto fisico del supporto. Esso continua a funzionare normalmente, può essere riusato, ma i dati non sono più raggiungibili.

La situazione è diversa per i danni di natura fisica: incendi, esplosioni, fulmini e sbalzi di tensione, cadute molto gravi o qualsiasi altro danno apportato alla macchina rischiano di essere completamente fatali. Quando la macchina è danneggiata in modo grave, qualsiasi intervento di natura digitale rischia di essere infruttuoso.
Il recupero dati è quindi sì una soluzione ottima, ma di certo non infallibile, in quanto molto della risoluzione dipende dal tipo di danno che ha cancellato i dati. 

In caso di danno fisico è raro che un intervento software sia risolutivo. Il danno fisico di solito si manifesta con blocchi della lettura, impossibilità completa di accesso al supporto, rumori anomali, bruciatura di componenti. Usualmente, gli interventi volti al recupero non sono alla portata dell'utente comune. Il recupero è possibile in ditte specializzate dotate di attrezzature specifiche e laboratori dotati di ambienti protetti (camera bianca).


Il recupero dati è possibile su diversi di supporti di memorizzazione a patto che, come abbiamo già visto, il danno non sia estremamente eccessivo. Nel caso di un bug nell’unità di memorizzazione, e quindi dell’eventualità più - semplice, il recupero dati può essere effettuato anche su supporti stock come:

- Hard Disk di computer fissi, notebook o portatili;
- Cellulari e Smartphone;
- Pen-Drive e Pennette USB;
- Sistemi in Server, NAS e RAID;
- Schede SD dedicate alla memoria.


Operando quindi su questi strumenti e sui loro supporti di memoria, il recupero dati si traduce come una sorta di “estrazione” dei dati ancora presenti nel supporto di memorizzazione che, per qualsiasi motivo, risulta guasto e non più utilizzabile.

I tecnici preposti operano quindi attraverso dei particolari sistemi e programmi gestibili da terminale, in grado di individuare il danno e sistematizzare i dati che sono ancora integri e funzionanti.

Diverse le cause, spesso legate al tipo di supporto. In quelli rimovibili tipicamente la perdita dei dati può essere causata da estrazione o scollegamento del supporto prima che siano stati effettivamente scritti i dati. Ciò è particolarmente frequente nei dispositivi digitali connessi tramite USB. In questi casi i dati non sono recuperabili in quanto non sono mai pervenuti nel supporto. Stesso dicasi per masterizzazioni di CD o DVD interrotte.

A seconda del tipo di supporto la casistica e quindi il tipo di intervento differisce. Vanno almeno distinti i seguenti casi e problematiche:


Supporti a memorizzazione digitale
Questi supporti hanno la loro principale caratteristica nell'assenza di parti in movimento. I dati vengono registrati in memorie digitali non volatili (flash memory). Sono quindi diffusi problemi nell'elettronica di memorizzazione o di controllo. In questi casi se il chip di memoria è ancora integro i dati possono essere estratti da esso e ricostruiti tramite specifici algoritmi software.

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Supporti a memorizzazione ottica
Questi supporti vengono letti da un raggio laser che percepisce il dato [binario] (1/0) a seconda della riflessione o non riflessione del raggio in modo inverso al loro processo di scrittura. Ne consegue che la pulizia del dispositivo di lettura e del supporto stesso è fondamentale. La rottura completa del supporto comporta molto spesso l'impossibilità di recupero, per difficoltà di allineamento delle tracce dati. Rotture parziali possono invece consentire il recupero. Graffi profondi possono essere eliminati tramite lucidatura meccanica, ma dipende dallo strato di materiale plastico presente sul fondo del disco, più alto nei dischi originali, meno nei masterizzati.

Supporti magnetici
Questi dispositivi memorizzano i dati su un substrato magnetico, in movimento rotatorio o lineare. Ne consegue che è importante preservare i supporti da campi magnetici e mantenere la pulizia dei supporti e dei lettori. Ciò è particolarmente vero nei floppy, ZIP, DAT e cassette in genere. In questi supporti il supporto magnetico non è in un contenitore sigillato e a lungo andare particelle di polvere possono penetrare alterando e degradando le caratteristiche magnetiche. Questi supporti sono anche molto sensibili alle condizioni di conservazione, ed alte temperature, esposizione diretta alla luce solare, campi magnetici (schermi video, telefonini e simili) possono modificare il supporto ed impedire la corretta lettura dei dati. In questi casi, oltre alla pulizia del supporto e del lettore, l'utente comune può fare poco altro.

Discorso a parte meritano i dischi rigidi (detti anche hard disk); questi memorizzano i dati su uno o più piatti magnetici racchiusi in un contenitore metallico in cui l'aria presente viene altamente filtrata. I dati vengono letti e scritti sui piatti in rotazione da testine magnetiche che operano sulle due facce dei piatti, volando a pochi nanometri dalla superficie. Il tutto è comandato da un'elettronica di controllo. Va da sé che un disco rigido rappresenta il supporto più complesso, ed anche quello con più grande capacità di memorizzazione, giunta a 6 TB per supporto. Il danno fisico e conseguente perdita di dati può manifestarsi a carico dei suoi vari componenti e quindi:

Problemi all'elettronica di comando, comprendente CPU, driver del motore, logica di lettura dei dati, preamplificazione dei segnali provenienti dalle testine, attuatore del movimento del braccio di lettura.

Problemi nel firmware presente nell'elettronica di comando (ROM) e/o nel disco stesso.

Problemi nelle testine di lettura e/o nel braccio di lettura.

Problemi nel motore di rotazione dei piatti

Problemi nei piatti magnetici, decadimento o alterazione (graffi, righe) degli stessi

Per effettuare il recupero dati è necessario rimettere il disco rigido in condizione di funzionare anche momentaneamente. Ciò può essere ottenuto mediante la riparazione o sostituzione di alcuni componenti (elettronica, motore, testine), la riprogrammazione e correzione del firmware disco che “accoppia” card elettronica al disco. L'apertura del contenitore dei piatti deve essere effettuata in ambiente controllato (camera bianca) per impedire che particelle di polvere o altri contaminanti danneggino la superficie magnetica. La manipolazione dei piatti deve inoltre impedire che l'orientamento angolare tra piatti e motore e tra i piatti stessi vari anche di pochi micron, pena la perdita definitiva dei dati, che vengono memorizzati sequenzialmente sui vari piatti.

Ne consegue che il recupero dei dati può essere effettuato solo da personale competente o ditte specializzate che posseggano un'adeguata attrezzatura elettronica, strumenti meccanici di alta precisione, hardware e software dedicato per la riprogrammazione del firmware ed il pilotaggio dei dischi in “factory mode”, un ambiente che permetta la lavorazione all'interno dei dischi senza contaminazione di agenti esterni.

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MrDisk è un Laboratorio Specializzato nel Data Recovery dotato di tutta la strumentazione necessaria per consentire il ripristino dei dati persi da qualsiasi tipologia di caso ci venga presentato.

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Nei nostri laboratori operano solamente tecnici specializzati e con anni di esperienza nel campo del recupero dati professionale, al fine di offrire ai nostri clienti il miglior servizio possibile.

 

Alcune caratteristiche importanti:

  • Possibilità di avere un tecnico dedicato al proprio caso
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E’ possibile il totale recupero dati nei seguenti casi:

  • Danno logico (software): in cui il supporto venga ancora riconosciuto dal BIOS del sistema.
  • Danno fisico, sia elettrico che elettronico o meccanico (hardware): in cui il supporto venga o non venga più riconosciuto dal BIOS.

 

Il procedimento del recupero dati in camera bianca si suddivide in due fasi: la fase di diagnosi e la procedura di recupero dati.

Il cliente viene costantemente informato sullo stato del recupero dati.

 

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Sotto-categorie

  • Hard Disk

    Gli hard disk, o dischi rigidi, sono componenti fondamentali all’interno di ogni computer, tablet, cellulare e qualsiasi dispositivo elettronico.

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    Vengono comunemente identificati come hard disk drive, o con le sigle abbreviate HDD o HD (alcune volte indicati erroneamente come hard disc). Sono dei dispositivi per l’archiviazione di massa che funzionano con dei dischi magnetizzati in grado di archiviare i dati che vengono messi al loro interno. Senza hard disk difficilmente un computer potrebbe funzionare correttamente e mantenere i dati che ogni giorno salviamo al suo interno. Sono stati finora utilizzata su tutti i computer e dispositivi portatili, ma negli ultimi anni si è vista una crescente diffusione di hard disk di nuova generazione, più veloci e preformanti degli Hard disk Sata, e di questi dischi (gli SSD) cui parleremo più avanti.

    Gli hard disk, oggi, hanno raggiunto capacità altissime e velocità impensabili solo 5 anni fa, c’era una continua corsa a migliorare processori, ram e frequenze in generale e l’HD rimaneva sempre un pò il collo di bottiglia.

    La funzione degli hard disk (a volte anche chiamato hard hd ) è proprio quella di conservare i dati, file, programmi e quant’altro, sono dei dispositivi per l’archiviazione indispensabili e molto importanti. Più sono capienti e più è possibile accumulare file all’interno.

     Esistono sostanzialmente due tipi di hard disk, quelli interni e quelli esterni.

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    Il disco rigido solitamente nei computer fissi è interno, e serve a contenere il sistema operativo, i programmi e tutti gli altri files che di volta in volta vengono caricati o salvati.

    Nei computer fissi gli hard disk hanno dimensioni di 3,5 pollici, mentre per l’hard disk portatile  è necessario, per via delle dimensioni contenute, installare hard disk di dimensioni inferiori, solitamente di 2,5 pollici.

    A volte però gli hard disk interni potrebbero danneggiarsi, con il rischio di perdere dati preziosi, per questo è importante prendere in considerazione l’utilizzo di unità esterne per archiviare i propri documenti e tutto ciò che riteniamo importante.

     

    Gli hard disk esterni, come anticipato poco fa, servono proprio per archiviare in maniera sicura i propri dati, e il più delle volte la loro capienza ci permette di salvare tutto ciò che è contenuto all’interno del computer. In pratica è come se fossero una memoria esterna per pc, e sono davvero fondamentali per effettuare il backup in maniera sicura.

    In questa maniera possiamo avere copie pronte all’uso e in sicurezza dei nostri dati più importanti, nel caso il computer subisca qualche danno.

    Gli hard disk esterni non sono altro che normali hard disk HDD o SSD, delle dimensioni di 2,5 pollici, che possono essere trasportati con facilità, e collegati all’occorrenza al portatile tramite cavetto USB.

    Questi hard disk esterni vengono sostanzialmente usati in due modi o come memoria esterna pc oppure come back up di riserva.

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    Gli hard disk esterni sono fondamentali per i computer desktop ma lo sono ancora di più per i notebook. Un hard disk per portatile può davvero salvarci la vita se il portatile si rompesse oppure se venisse perso il Pc. Spesso la portabilità dei notebook è utilissima ma il fatto di portarli in giro li espone e più rischi rispetto ad un pc desktop che è fermo a casa o in ufficio ecco perché un back up con hard disk per notebook ci può aiutare moltissimo.

    Solitamente sono contenuti all’interno di un involucro che può essere di plastica o di alluminio. Quest’ultimo materiale è il più adatto per proteggere l’hard disk, in quanto consente di dissipare il calore in maniera più efficace.

    Gli hard disk esterni hanno, alla stregua di quelli interni, capacità di archiviazione differenti che vanno da un range di 500 Gb a 3-4 Tera di memoria.

    Possono essere del tipo HDD o SSD, i primi indubbiamente più economici dei secondi e con prestazioni meno elevate.

     Gli hard disk SSD sono dei nuovi dispositivi di archiviazione, che fanno uso di memorie flash al posto dei dischi magnetici utilizzati finora.

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    Gli Hard disk SSD o Solid State Disk, non sono un’evoluzione dei classici hard disk, bensì un’alternativa per l’archiviazione dei dati.

    La differenza sostanziale tra le due tipologie di dischi sta nel fatto che mentre gli HDD sono pensati per avere una grande capacità di archiviazione, quindi molti GB o Terabyte a disposizione, gli SDD sono concepiti per essere più sicuri, veloci e migliorare le prestazioni della macchina su cui sono montanti.

    Difatti non a caso quando si sostituisce un HDD con un SSD i computer girano molto più velocemente, caricando i dati in un batter d’occhio, anche quando il disco si riempie. A differenza dei normali HD che rallentano quando diventano sovraccarichi di dati.

    Un’altra differenza sostanziale con gli HDD sta nella tipologia di struttura: mentre gli HDD hanno piatti di rotazione e testine per poter funzionare, gli SSD sono privi di parti meccaniche, e grazie a questo vantaggio risulta anche più difficile il loro danneggiamento.

    L’unico inconveniente degli SSD è il loro ciclo di vita, che solitamente è di 5-6 anni, anche se gli ultimi modelli hanno aumentato di molto la loro vita media.

    Oggi gli hard disk notebook hanno iniziato a montare gli SSD come disco primario, alcuni addirittura hanno hd interno secondario in Sata per immagazzinare i dati

     Nella categoria degli SSD, rientrano anche gli Hard disk Sata M.2 che rappresentano l’ultimissima evoluzione in termini di tecnologia e sono molto piccoli e sono adattissimi per i portatili in quanto si parla di Hard disk più piccoli di una Penna USB.

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    Raggiungono velocità assurde e sono un must per chi ha un pc da Gaming, in quanto le prestazioni rendono possibile anche i giochi di ultima generazione con risoluzioni alte. 

    L’attacco M.2 sostituisce gli mSATA che prima avevano un posto predominante sui notebook.

    Come dicevamo il punto di forza di questi Hard disk è la velocità, per fare un piccolo confronto la velocità di trasferimento di un SATA non supera 770MB/s più o meno. Per capire la velocità di questi Hard disk M.2 hanno una velocità di velocità di lettura/scrittura di 3500MB/s i più performanti mentre la fascia media arriva tranquillamente a 1500MB/s che è comunque il doppio di un SSD SATA.

    L’installazione di un hard disk M2 è molto semplice, l’attacco è molto veloce e sulle schede madri con la predisposizione è molto ben visibile, le schede madri Asus più performanti hanno anche la possibilità di mettere un piccolo dissipatore sopra l’hard disk.

     

    Esiste poi un’altra tipologia di archiviazione chiamata NAS.

    Questo è un particolare tipo di dispositivo di archiviazione che permette di memorizzare e condividere i dati attraverso la rete, (alcuni modelli tramite wi-fi), con computer, smartphone e altri apparecchi ad esso connessi.

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    NAS è l’acronimo di Network Attached Storage, cioè un sistema di archiviazione collegato alla rete. Il NAS viene collegato ad un router e tramite esso viene creata una rete condivisa con gli altri dispositivi, questi possono quindi accedere alle varie unità di archiviazione in esso contenute.

    Gli hard disk per NAS sono diversi rispetto agli hard disk tradizionali, in quanto prediligono la durata della loro funzione, a discapito della velocità. Per intenderci il NAS diventa una sorta di Server o Cloud privato.

    Il NAS può essere considerato come un vero e proprio computer che funziona tramite alimentazione elettrica, e possiede un sistema operativo per le varie funzioni, solitamente basato su tecnologia Linux.

    Ogni NAS storage è dotato oltre che dell’alimentatore, anche di una CPU, una RAM, i moduli di rete per la connessione internet tramite cavo o Wi-Fi, la memoria per il sistema operativo e diversi slot per l’alloggiamento dei vari hard disk. Le versioni più economiche solitamente dispongono di due alloggiamenti, ma è possibile avere soluzioni più costose e complesse con più di mezza dozzina di slot per gli hard disk.

    Alcuni NAS possono avere porte USB, piuttosto utili e veloci in alcuni casi.

     

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    • Costante attività di ricerca e sviluppo
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    E’ possibile il totale recupero dati nei seguenti casi:

    • Danno logico (software): in cui il supporto venga ancora riconosciuto dal BIOS del sistema.
    • Danno fisico, sia elettrico che elettronico o meccanico (hardware): in cui il supporto venga o non venga più riconosciuto dal BIOS.

     

    Il procedimento del recupero dati in camera bianca si suddivide in due fasi: la fase di diagnosi e la procedura di recupero dati.

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  • NAS o Server con Raid
    Un Network Attached Storage (NAS) è un dispositivo collegato alla rete la cui funzione è quella di consentire agli utenti di accedervi nello stesso istante e condividere una memoria di massa, costituita da uno o più Hard Disk, all’interno della propria rete o dall’esterno attraverso internet
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    Per aumentare le capacità di lettura e scrittura dei dati, oltre che per implementare dei sistemi di protezione e di backup, questi dispositivi vengono configurati con la tecnologia Raid.

    Considerata l’importanza che questi dispositivi hanno, non solo per aziende e negozi ma anche per persone comuni, offriamo la nostra professionalità per la risoluzione di qualsiasi problematica gestendo l’operazione di recupero dati nel minor tempo possibile.

    E’ facile immaginare il danno economico che subisce un’azienda che viene letteralmente bloccata da un NAS inservibile.

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    Grazie all’aumento della velocità nell’accesso alle informazioni offerto dalle unità a stato solido – conosciute meglio come SSD – nonché dalle continue evoluzioni tecnologiche introdotte nei classici hard disk, oggigiorno per cercare di ottenere delle prestazioni ancora migliori col proprio computer non c’è più la necessità di utilizzare contemporaneamente molti dischi. Nonostante questi importanti miglioramenti, l’esigenza di adottare delle particolari strategie che siano in grado di evitare la perdita di preziose informazioni dovuta a guasti o a malfunzionamenti improvvisi dei dischi non è stata tuttavia ancora eliminata del tutto. Ecco perciò che in questo apposito articolo andrò a spiegarti il RAID, o meglio che cos’è il RAID, come funziona il RAID, nonché come si usa il RAID.

    Il termine RAID deriva dall’acronimo inglese di redundant array of independent disks (si pronuncia redàndant arrèi of indipèndent discs, in italiano insieme ridondante di dischi indipendenti). Nella pratica il RAID non indica altro che una tecnica che permette al controller, in grado di gestire le diverse unità di archiviazione, di suddividere i dati tra i molteplici dischi presenti in maniera tale da poter aumentare le prestazioni, la sicurezza ed anche la tolleranza contro eventuali guasti.

    Siccome la gestione delle prestazioni, della sicurezza e della tolleranza contro possibili guasti variano in base alla strategia scelta, per capire qual è la configurazione RAID più adatta alle proprie esigenze sarebbe opportuno prima capire quante e quali sono le tipologie di RAID esistenti. Nella pratica esistono infatti le tipologie RAID di base, che vanno dal livello 0 al livello 7, e le tipologie RAID annidate, che non sono altro che le tipologie RAID di base combinate tra di loro in maniera tale da sfruttare le caratteristiche dell’una o dell’altra tipologia.
    Proprio per questi motivi cercherò, quindi, di illustrarti come funziona il RAID cominciando prima dalle tipologie RAID di base più sfruttate, soprattutto a casa o in ufficio, per poi passare alle tipologie RAID più avanzate, sfruttate soprattutto in ambito aziendale.

    La tipologia RAID di livello 0, talvolta chiamata anche striping (si pronuncia stràiping), divide i dati in blocchi uguali ognuno dei quali viene poi scritto su un disco diverso. In questo caso, per la realizzazione di un RAID di livello 0 è necessario utilizzare almeno due dischi mentre, per quanto riguarda la capacità effettiva, questa è pari invece alla capacità del disco di dimensioni minori moltiplicata per il numero totale di dischi utilizzati.

    Per quanto riguarda i vantaggi del RAID di livello 0 c’è da citare la facilità con la quale questo può essere implementato oltre alle prestazioni quasi proporzionali al numero di dischi impiegati. In questo caso, però, non si tratta di un vero e proprio RAID in quanto il livello 0 non offre alcuna garanzia contro eventuali guasti, infatti se si rompe un disco tutti i dati verranno subito persi. In questo caso, inoltre, la probabilità che un disco possa guastarsi aumenta in maniera proporzionale al numero stesso di dischi utilizzati.

    Il RAID di livello 0 risulta quindi una tipologia di RAID indirizzata a chi deve elaborare file di diversa natura – cioè video, audio o immagini – e a chi ha l’esigenza di utilizzare tutti quei particolari programmi che necessitano di trasferire grosse quantità di dati. Al contrario, il RAID di livello 0 è sconsigliato in tutti quei casi in cui la sicurezza dei dati riveste il ruolo più importante.

    Nel RAID di livello 1, che segue una logica, per così dire, a “specchio” – infatti talvolta viene anche chiamato mirroring (si pronuncia mirrorìng) che in italiano significa appunto rispecchiare – i dati vengono anzitutto scritti sul disco primario per poi essere successivamente replicati su uno o più dischi secondari. In questo caso, per la realizzazione di un RAID di livello 1 è necessario utilizzare almeno due dischi mentre la capacità effettiva è pari invece solamente alla capacità del disco che ha le dimensioni minori. Al contrario di quanto avviene con il livello 0, nel RAID di livello 1 viene però anche ammesso il guasto di tutti i dischi presenti tranne, tuttavia, di almeno un disco.

    Il RAID di livello 1 è dunque la configurazione RAID più semplice in quanto non solo garantisce la replica dei dati unita alla tolleranza contro eventuali guasti (in questo livello, infatti, se si danneggia un disco sarà sufficiente sostituirlo – anche in modalità hot swap, pronunciato ot svuàp – per ripristinare i dati persi), ma in alcuni casi questo livello permette anche un lieve aumento delle prestazioni in lettura, visto che almeno in teoria il controller può fare simultaneamente più letture. Per quanto riguarda invece gli svantaggi c’è da dire che il RAID di livello 1 è quello che ha la peggior gestione dello spazio disponibile, infatti la capacità complessiva sarà pari solamente a quella del disco dotato di dimensioni minori. Per di più, visto che bisogna scrivere i dati contemporaneamente su tutti i dischi presenti, le prestazioni in scrittura ottenibili con un RAID di livello 1 saranno paragonabili a quelle ottenibili da un unico disco. Di conseguenza, in questo caso non ci sarà alcun aumento tangibile delle prestazioni.

    Il RAID di livello 1 è quindi consigliato per tutte quelle applicazioni in cui la continuità del servizio riveste un ruolo fondamentale.

    Grazie all’utilizzo del bit di parità, il RAID di livello 5 può essere considerato, a tutti gli effetti, la configurazione RAID più indicata per qualsiasi utilizzo in quanto quest’ultimo offre sia un aumento delle prestazioni, sia una maggior sicurezza dei dati. In questo caso, però, il numero minimo di dischi sale a tre mentre la capacità effettiva è pari invece a quella del disco di dimensioni minori moltiplicata per il numero complessivo di dischi meno uno. Se, ad esempio, si vuole costruire un RAID di livello 5 con tre dischi da 2 terabyte ciascuno in questo caso la capacità effettiva sarà pari a 2 TB × (3 – 1 dischi) = 2 TB × 2 dischi, ovvero a 4 terabyte.

    Data la possibilità di scrivere e leggere su più dischi allo stesso tempo, nel RAID di livello 5 le prestazioni che si possono ottenere aumentano in funzione del numero di dischi impiegati, proprio come avviene nel RAID di livello 0. Tuttavia, nonostante l’elevata velocità nel leggere i dati unita ad una media velocità nello scriverli, se si guasta un disco nel RAID di livello 5 le prestazioni generali ne risentiranno in maniera più o meno grave a seconda del controller utilizzato. Per di più, pur essendo un’operazione tutto sommato abbastanza semplice, la ricostruzione dell’intero sistema RAID 5 in caso di guasti può richiedere davvero parecchio tempo. Esiste comunque una versione chiamata RAID 5 Enhanced che, grazie all’utilizzo di un ulteriore disco, permette di ricostruire più velocemente il sistema RAID non appena viene rilevato il danneggiamento di uno dei dischi presenti.

    Il RAID di livello 6 funziona in maniera molto simile a quello di livello 5, infatti l’unica differenza che c’è rispetto a quest’ultimo consiste solamente nell’utilizzo di due dischi per la parità dei dati anziché di uno solo. In questo modo è possibile resistere al guasto contemporaneo di due dischi, al contrario del RAID di livello 5 che tollera il guasto di al massimo soltanto un disco. Nel RAID di livello 6 il numero minimo di dischi sale però a quattro mentre la capacità effettiva è pari invece a quella del disco di dimensioni minori moltiplicata per il numero complessivo di dischi meno due. Se, ad esempio, si vuole costruire un RAID di livello 6 con quattro dischi da 2 terabyte ciascuno in questo caso la capacità effettiva sarà pari a 2 TB × (4 – 2 dischi) = 2 TB × 2 dischi, ovvero a 4 terabyte.

    Purtroppo, però, proprio come avviene nel RAID di livello 5, anche nel RAID di livello 6 il danneggiamento di un solo disco influisce sulle prestazioni generali dell’intero sistema RAID. Pertanto, anche in questo caso il ripristino dell’intera struttura RAID può richiedere davvero parecchio tempo. Tuttavia, grazie all’utilizzo della versione RAID 6 Enhanced sarà possibile ripristinare più velocemente il sistema RAID aggiungendo un ulteriore disco che si attiverà non appena verrà rilevato il guasto di uno dei dischi presenti.

    Come già detto, per realizzare un sistema RAID è possibile utilizzare oltre alle configurazioni RAID di base anche delle configurazioni RAID annidate in cui gli elementi che si trovano alla base del sistema RAID sono a loro volta delle configurazioni RAID. In questi casi la tipologia del sistema RAID viene solitamente indicata mediante una sequenza di cifre che parte dal livello più nidificato per poi salire fino a quello più esterno. Volendo è però possibile utilizzare anche un’altra rappresentazione nella quale le cifre impiegate vengono separate attraverso il segno “+”.

     

    Il RAID di livello 10, che può essere indicato anche come 1+0, è la tipologia RAID annidata più semplice. In questo caso alla base del sistema RAID 0 non ci sono altro che dei dischi in configurazione RAID 1.

    Grazie all’utilizzo di questa particolare struttura, il RAID di livello 10 consente di avere delle prestazioni decisamente molto elevate (in base al numero di rami presenti nel RAID di livello 0) con un altrettanto elevato livello di sicurezza (in base al numero di rami presenti nel RAID di livello 1). In questo caso è dunque possibile utilizzare tutte quelle applicazioni che richiedono prestazioni elevate e, allo stesso tempo, tolleranza contro i guasti. Per quanto riguarda il numero di dischi, nel RAID di livello 10 sono necessari almeno quattro dischi mentre, per quanto riguarda la capacità effettiva, in questo caso è pari a quella del disco di dimensioni minori moltiplicata per il numero totale di dischi presenti dividendo poi il tutto per due. Se, ad esempio, si vuole costruire un RAID di livello 10 con quattro dischi da 2 TB ciascuno in questo caso la capacità effettiva sarà pari a (2 TB × 4 dischi)/2 = (8 TB)/2 = 4 TB.

    Confrontando il RAID di livello 10 con il RAID di livello 0 si può quindi dire che quello di livello 10 ha una tolleranza contro i guasti nettamente migliore (infatti nel livello 10 è ammesso il guasto di due dischi, purché questi non facciano parte dello stesso ramo di livello 1), mentre, se confrontato con il RAID di livello 5, il RAID di livello 10 non ha la necessità di fare dei calcoli particolari per poter memorizzare i dati. Inoltre in questo caso se si rompe un disco nel RAID di livello 10 le prestazioni generali non ne risentiranno in maniera significativa, al contrario di quanto avviene invece per il RAID di livello 5. A conti fatti, si potrebbe quindi affermare che gli unici svantaggi del RAID di livello 10 sono rappresentati unicamente dal costo e dallo spazio di archiviazione che risulta dimezzato.

    Le configurazioni annidate più complesse del RAID 10 vengono impiegate per lo più in ambito aziendale, ossia dove c’è la necessità di archiviare delle grosse quantità di dati. Come avviene già per il RAID di livello 10, le soluzioni RAID di livello 50 (indicato anche come 5+0) e di livello 60 (indicato anche come 6+0) prevedono rispettivamente dei dischi in configurazione RAID 5 o RAID 6 alla base del sistema RAID 0.

    In questo caso sono richiesti un minimo di sei dischi per il RAID 50 mentre almeno otto dischi per il RAID 60, ovvero almeno due rami con il rispettivo numero minimo di dischi delle configurazioni RAID 5 e RAID 6. Per quanto riguarda invece la capacità effettiva, nel livello 50 questa sarà pari a:

    D × (N/R-1) × R

    In questa formula, D rappresenta la capacità del disco di dimensioni minori, N il numero totale di dischi, ed R, invece, il numero di rami. Ad esempio, in un RAID di livello 50 diviso in due rami con un totale di sei dischi da 3 TB ciascuno la capacità effettiva sarà pari a 3 × (6/2-1) × 2 = 12 TB. Nel RAID di livello 60 la capacità effettiva sarà invece pari a:

    D × (N/R-2) × R

    In questa formula, proprio come in quella precedente, D rappresenta la capacità del disco di dimensioni minori, N il numero totale di dischi, ed R, invece, il numero di rami. Ad esempio, in un RAID di livello 60 diviso in due rami con un totale di otto dischi da 4 TB ciascuno la capacità effettiva sarà pari a 4 × (8/2-2) × 2 = 16 TB.

    Concludendo, grazie alle caratteristiche offerte dai livelli RAID 5 e RAID 6, oltre che alle prestazioni offerte dal RAID di livello 0, queste configurazioni RAID avanzate sono in grado di sopportare anche il guasto di un unico disco, nel caso del RAID 50, o contemporaneamente anche di due, nel caso del RAID 60. Pertanto, solamente se si dovessero superare questi limiti si avrà la perdita completa dei dati all’interno del singolo ramo di livello 0. Per risolvere questo inconveniente, al posto delle configurazioni RAID 50 e RAID 60 spesso si preferiscono comunque usare le versioni Enhanced, chiamate rispettivamente 50e e 60e, che prevedono l’utilizzo di un ulteriore disco rispetto alla configurazione standard del RAID 50 e del RAID 60.

    Naturalmente oltre a queste esistono anche altre configurazioni RAID annidate che possono essere implementate seguendo la logica di quelle appena presentate. Tuttavia bisogna precisare che le configurazioni che sopportano il guasto di uno o più dischi richiedono lo stesso una manutenzione fatta in tempo debito, proprio perché, nonostante l’utilizzo delle versioni Enhanced, il processo di ricostruzione di un disco di grandi dimensioni può richiedere davvero molte ore durante le quali l’intero sistema RAID sarà inevitabilmente a rischio. Per ovviare a questo problema bisognerebbe quindi fare una copia di backup ad intervalli di tempo ben stabiliti – possibilmente attraverso supporti esterni al sistema – e magari dotarsi almeno di un ulteriore disco – in aggiunta già a quello delle versioni Enhanced – da utilizzare soltanto in caso di necessità. Questo poiché durante la ricostruzione del sistema RAID sarebbe opportuno limitare gli accessi per non correre il rischio di rallentare l’intero processo di ripristino.

    Come già detto il RAID è legato all’utilizzo di un apposito controller. Quest’ultimo si trova sempre più spesso integrato nelle schede madri e quindi viene gestito mediante il BIOS, altrimenti può anche essere aggiunto attraverso l’acquisto di una appropriata scheda di espansione. Proprio per queste ragioni, e grazie alla possibilità offerta da alcuni sistemi operativi, è possibile implementare e gestire il RAID anche soltanto via software. Tuttavia questa modalità, ovviamente, non offre le stesse prestazioni che si possono ottenere dalla modalità fatta via hardware, infatti il RAID implementato via software pone diverse limitazioni – come ad esempio la modalità con la quale può essere avviato il sistema RAID stesso, le configurazioni RAID supportate, e l’impossibilità di effettuare una sostituzione a caldo dei dischi – proprio perché tutte le operazioni necessarie per implementare un sistema RAID devono essere demandate e gestite dal sistema operativo del momento, che a sua volta utilizza già il processore e la memoria RAM per altri scopi ben più tradizionali.

    In poche parole, il RAID offerto da questi controller, integrati o dedicati, non consente di effettuare un vero e proprio sistema RAID ma, piuttosto, una via di mezzo tra la modalità software, che è pur sempre meglio di niente, e quella hardware, che oltre ad un buon controller avrebbe bisogno anche di un certo quantitativo di memoria RAM e di un processore che si occupi esclusivamente di fare i calcoli necessari, soprattutto se si vogliono utilizzare le configurazioni RAID più impegnative. Ecco perciò che per implementare un RAID nel vero senso della parola la soluzione migliore consiste, quasi sempre, nell’acquistare un prodotto ad hoc: il NAS.

    Il RAID, quindi, è una tecnica che offre diversi vantaggi per migliorare la sicurezza dei sistemi di archiviazione, come ad esempio la gestione centralizzata dei dati unita all’affidabilità e all’indipendenza dal sistema operativo utilizzato. Tuttavia, quando si vuole costruire una configurazione RAID bisogna tener conto anche di diversi aspetti negativi quali la concorrenza da parte dei servizi cloud, il costo per implementarlo, le difficoltà che si incontrano nel configurarlo, e non di meno anche la rumorosità che viene emessa da tutti i dischi quando questi sono in funzione. Inoltre, per quanto possa essere efficiente ed efficace, c’è da considerare anche il fatto che un sistema RAID non sarà mai in grado di prevenire eventuali danni causati da fattori esterni, contro i quali ci sarà sempre ben poco da fare. 

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    • Danno logico (software): in cui il supporto venga ancora riconosciuto dal BIOS del sistema.
    • Danno fisico, sia elettrico che elettronico o meccanico (hardware): in cui il supporto venga o non venga più riconosciuto dal BIOS.

     

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  • Schede di Memoria

    Una scheda di memoria (in inglese memory card) è un dispositivo elettronico a stato solido (semiconduttori) di ridotte dimensioni usato per memorizzare dati in forma digitale. Sono comunemente usate in dispositivi elettronici portatili come fotocamere e telecamere digitali, smartphone, computer portatili e tablet, lettori multimediali e altri dispositivi.

    Le schede di memoria vengono usate generalmente per memorizzare file di documenti, musica, immagini, filmati o altro su periferiche portatili. I dati memorizzati vengono mantenuti in memoria anche in assenza di alimentazione elettrica, a tale scopo si utilizza al suo interno una memoria flash (memoria non volatile). Ne esistono di vari tipi, alcuni usano "standard proprietari", ovvero funzionano solo sui dispositivi elettronici per i quali sono stati progettati (come ad esempio le memory card per le PlayStation), mentre altri sono compatibili con una grande varietà di dispositivi, rendendo così possibile lo scambio di dati tra di essi.

    In ambito informatico le schede di memoria possono considerarsi un'evoluzione dei classici floppy disk utilizzati in passato per conservare dati o trasferirli da un computer all'altro. Rispetto ai floppy le schede di memoria hanno però molti vantaggi: sono meno sensibili ai campi magnetici, decisamente più robuste, rispetto ai floppy disk dispongono di un'enorme capacità di memoria (per esempio anche la più piccola tra le schede di memoria può contenere l'equivalente in dati di migliaia di dischetti), inoltre l'utilizzo delle schede di memoria riduce considerevolmente il costo per megabyte rispetto ai vecchi dispositivi di memoria rimovibili per computer.

    Le schede di memoria possono essere utilizzate per vari scopi su diverse apparecchiature. Per esempio in una fotocamera o in una videocamera viene usata per salvare le foto e i video, su un tablet o un computer portatile la si può usare per archiviare e copiare documenti tra vari dispositivi, in alcune console portatili per videogiochi è possibile usare una scheda di memoria per conservare e riutilizzare i salvataggi delle partite.

    Solitamente è possibile caricare e scaricare dati su questi supporti di memorizzazione collegando l'apparecchio in cui sono utilizzate (ad esempio la fotocamera) ad un computer, oppure usando appositi lettori di schede. Molti computer portatili ed alcuni computer fissi moderni sono dotati di lettori multiformato integrato, altrimenti è possibile acquistare dei lettori esterni con interfaccia USB.

    La veloce diffusione, l'elevato numero di produttori e gli interessi commerciali ad essi legati, hanno fatto sì che non si sia ancora giunti ad uno standard per questi dispositivi di archiviazione portatili.

    Esistono molti tipi diversi di schede di memoria, differenti per dimensione, forma, interfaccia e capacità. Per quanto riguarda la capacità, alla fine del 2016 esistono in commercio modelli a partire da alcuni gigabyte fino a 512 GB, con le capacità da 8 GB a 32 GB di uso molto comune.

    Segue un elenco dei vari standard:

    Tra i vari tipi di schede di memoria ci sono le Compact Flash, realizzate nel 1994 dalla SanDisk. La scheda si basa sullo standard PCMCIA (Personal Computer Memory Card International Association) e può essere utilizzata attraverso un adattatore meccanico negli slot di PC Card presenti su alcuni computer portatili. Questi supporti hanno una dimensione di 43 × 36 mm e sono state prodotte secondo due fattori di forma: tipo I con spessore di 3,3 mm e tipo II con spessore di 5 mm. Hanno un peso che varia tra gli 8 ed i 12 grammi. Le capacità iniziali non superavano i 200 MB per le tipo I e i 300 MB per le II, ma si possono raggiungere i 16 GB. Utilizzano una connessione a 50 pin ad inserimento meccanico. Nel corso degli anni a queste due tipologie se ne è aggiunta una terza chiamata Ultra Compact Flash (Ultra II e Ultra III con capacità fino a 16 GB), che ha un transfer-rate doppio rispetto alle tradizionali card (10 MB/s per le Ultra II e 20 MB/s per le Ultra III).

    Quest'ultimo supporto venne creato principalmente per la registrazione di sequenze fotografiche ad alta risoluzione, ed ha rappresentato un ottimo compromesso fino all'entrata in campo di formati più innovativi. Inoltre, per aumentarne la diffusione sono stati introdotti una serie di lettori/adattatori che permettono l'utilizzo su porta USB o direttamente attraverso un lettore di dischetti.

    Le Smart Media sono supporti inizialmente chiamate SSFDC (solid-state floppy disk card), sviluppato da Toshiba. Come dimensioni è simile alle CompactFlash (45 × 37 mm), ma risulta essere molto più sottile raggiungendo lo spessore di circa 1 mm (0,76 mm per la precisione). Sono anche più leggere visto che il loro peso arriva a circa 2 grammi. Utilizzano una connessione a 22 pin ad inserimento meccanico.

    A differenza delle Compact Flash non contengono un controller integrato; infatti alcuni dispositivi non sono in grado di gestire SmartMedia con capacità superiori ai 16 o 32 MB, anche se il limite architetturale effettivo di queste card è di 128 MB. La mancanza del controller permetteva costi di produzione contenuti.

    Le MMC (Multi Media Card) o TwinMOS-MMC, sono tipi di scheda di memoria che rappresentarono una vera svolta. Nacque nel 1997 da una collaborazione tra SanDisk e Samsung, le quali puntarono ad un supporto poco ingombrante e sottile. In effetti il risultato è di tutto rispetto visto che le dimensioni sono simili a quelle di un francobollo (24 × 32 mm) per uno spessore di soli 1,4 mm. Pesano meno di 2 grammi. La velocità di lettura e scrittura è doppia rispetto alle CF e già nel 2002 offrivano capacità fino a 128 MB. Un'altra novità è il tipo di collegamento che non è più a pin ma è costituito da contatti meccanici (7 linee) decisamente più versatili e meno inclini a danneggiarsi. Infine presentano la possibilità di cifrare il contenuto informativo, cosa che risulta particolarmente interessante tant'è che nacque un'associazione chiamata MMCA (MultiMedia Card Association) di cui fanno parte importanti produttori come HP, Siemens, Palm per promuovere l'utilizzo di questo supporto nella distribuzione di materiale protetto da copyright. In genere raggiungono una velocità di trasferimento di circa 2,5 MB/s.

    Le Memory Stick Rappresentano una soluzione completamente proprietaria nata in casa Sony. Anche questo tipo di memoria utilizza, come per i precedenti dispositivi di tipo flash, un contenitore fatto di materiale plastico particolarmente resistente agli urti. La novità rispetto agli altri supporti è che presentano un selettore per evitare la cancellazione accidentale del dispositivo. Hanno dimensioni di 21,5 × 50 mm con spessore di poco inferiore ai 3 mm. Pesano circa 4 grammi e utilizzano una contattiera a 10 linee. Hanno subito un'evoluzione prettamente dimensionale che ha portato alla nascita di un nuovo supporto chiamato MemoryStick Duo. Le dimensioni si riducono raggiungendo i 20 × 32 mm con uno spessore di 1,6 mm. Funzionalmente però rimangono praticamente identiche al formato precedente. Teoricamente secondo il progetto di Sony potrebbero raggiungere capacità di 32 GB. La velocità di trasferimento va da 15 MB/s a 30 MB/s (sustained, MS HG). Dal 2010 il formato Memory Stick con le sue varianti PRO, Duo e M2 è definitivamente tramontato, le apparecchiature Sony attualmente in commercio montano uno slot "ibrido" che consente l'uso anche di schede SD (o microSD). Nei negozi si trovano ormai pochissimi esemplari di Memory Stick.

    Le SD (Secure Digital) rappresentano la vera svolta di questa tipologia di dispositivi di memorizzazione. Questa tecnologia nasce nel 1999 e viene sviluppata in un progetto congiunto da Panasonic Corporation, Toshiba e SanDisk. Fondamentalmente concentra le migliori caratteristiche di tutti gli altri supporti. Le schede hanno una velocità di trasferimento molto elevata e un consumo energetico ridotto (in sleep = 250 µA, Lettura / Scrittura = 80 mA). Sono di dimensioni molto contenute (32 × 24 mm per 2,1 mm di spessore), hanno un collegamento a contatti metallici (9 linee) e pesano circa 2 grammi. Offrono capacità di memorizzazione elevate (nel 2016 sono disponibili tagli da 512 GB) e funzionalità di cifratura del contenuto, con una velocità di trasferimento che può raggiungere oltre i 22,5 Mb/s. Presentano anche un selettore per renderle a sola lettura (read-only) al fine di evitare la cancellazione accidentale dei dati. Nel 2003 è stata introdotta sul mercato una scheda con un fattore di forma ridotto chiamato MiniSD, messa a punto per venire incontro alle esigenze del mercato della telefonia cellulare. Queste schede hanno dimensioni pari a 21,5 × 20 mm per uno spessore di 1,4 mm ed un peso di 1 grammo. Permettono di raggiungere ottimi livelli di risparmio energetico arrivando a consumare appena 150 µA in sleep mode, 40 mA in lettura e 50 mA in scrittura. Raggiungono velocità di trasferimento intorno ai 10 Mb/s.

    La MicroSD (precedentemente TransFlash) è una memoria flash dalle dimensioni molto ridotte (15 × 11 × 1 mm), nel luglio 2005 le TransFlash sono state adottate ufficialmente dalla SDA (SD Card Association) diventando le microSD. Basata sullo standard delle miniSD, per le sue ridotte dimensioni questo tipo di scheda viene utilizzata da molti smartphone, tablet e console di gioco portatili. Al 2017 esiste con capienza fino a 2 TB.

    Le xD-Picture Card hanno un peso di soli 2 grammi e dimensioni di 20 × 25 × 1,7 mm. La xD Picture Card è stata sviluppata da Olympus e prodotta da Toshiba per rimpiazzare l'oramai datato formato delle SmartMedia. Il formato xD è stato creato pensando alla futura generazione di macchine fotografiche, che hanno sempre più bisogno di maggiori capacità di trasferimento dati e capacità di memorizzazione, tutto in formati sempre più piccoli. Agli inizi le xD-picture Card avevano dimensioni da 16 MB a 2 GB e una velocità di trasferimento di 5 MB/s. Dal 2010 questo tipo di scheda di memoria non viene più utilizzato in alcuna macchina fotografica in produzione.

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    Negli ultimi anni è praticamente esploso il mercato delle MicroSd, schede di memoria ad altissime prestazioni, molto pratiche e funzionali e dalle ridottissime dimensioni. La grande diffusione di questo tipo di scheda è dovuta principalmente all’utilizzo da parte di smartphone e tablet come “memoria di massa” esterna ed estraibile.

    Le operazioni di recupero dati su questo tipo di dispositivo sono tra le più complesse e costose a causa dell’altissimo costo delle apparecchiature e dei software, oltre che la difficoltà materiale di operare su componenti microscopici.

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    La complessità di intervento salgono ancora di più quando si parla di schede di memoria monolitiche, inglobate in blocchi di resina sottilissima.
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    E’ possibile il totale recupero dati nei seguenti casi:

    • Danno logico (software): in cui il supporto venga ancora riconosciuto dal BIOS del sistema.
    • Danno fisico, sia elettrico che elettronico o meccanico (hardware): in cui il supporto venga o non venga più riconosciuto dal BIOS.

     

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  • Chiavette USB

    Le chiavette USB rappresentano lo strumento tipicamente utilizzato in uffici e luoghi di lavoro per trasportare file da un Pc ad un altro (alla stregua del vecchio e superato FloppyDisk), ma oggi giorno è molto utilizzato anche in ambienti domestici e familiari allo scopo di conservare dati relativamente importanti in poco spazio. ùsi collega al computer mediante la porta USB.

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    Le chiavi USB ad alta velocità hanno beneficiato, sin dalla loro prima apparizione (nell'anno 1999) di incrementi costanti e significativi sia in velocità di lettura/scrittura, che in spazio di archiviazione, mentre il costo unitario per byte stoccato è in continua diminuzione.

    La prima chiave ad alta velocità giunta sul mercato è stata prodotta nel gennaio 2000 dalla Trek Technology di Singapore: il modello si chiamava ThumbDrive e offriva 8 megabyte di spazio.

    Al Consumer Electronics Show di Las Vegas 2017 la Kingston Technology ha presentato una chiave che grazie alla capacità di 2 terabyte equivale alla più capiente attualmente disponibile sul mercato. Si tratta del modello Kingston DataTraveler Ultimate Generation Terabyte (GT), che sfrutta lo standard USB 3.1 Gen 1, capace di raggiungere una velocità massima teorica in scrittura di 160 MB/s e in lettura di 240 MB/s.

    La molteplicità di modelli e capacità ed i bassi prezzi di mercato, oltre alle ottime performance in termini di velocità, rendono questi supporti gli alleati ideali per i lavori di tutti i giorni e per l’archiviazione rapida e temporanea di cartelle e file.

    Purtroppo però, alla facilità di utilizzo di questi supporti non corrisponde la medesima semplicità di estrapolazione dei dati memorizzati elettronicamente nei chip installati al loro interno. 

    Grazie alle dimensioni ridotte, all'assenza di inaffidabili meccanismi mobili, alle crescenti dimensioni della memoria e alla sua interoperabilità, la chiavetta si è affermata, superando i CD e i DVD, come unità preferita per il trasporto fisico di dati. Si tenga però in considerazione il fatto che il numero di scritture che una memoria flash può supportare non è illimitato, seppur molto alto (oltre 100.000 cicli di scrittura).

    Molte marche di chiavette USB hanno in catalogo le versioni dotate di piccola levetta laterale che (quando azionata) impedisce la scrittura sul dispositivo.

    Nello scaricamento e caricamento di dati la chiavetta USB è il supporto con il minore ingombro ed il più veloce; la porta USB è inoltre in grado di alimentare elettricamente le periferiche a basso consumo come le chiavette, senza necessità di una autonoma fonte d'energia, e ne permette il collegamento/scollegamento senza spegnere il computer (limitandosi a seguire la procedura "Rimozione sicura dell'hardware".

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    Il protocollo per il trasferimento dei dati dal computer alla chiavetta, e viceversa, è un protocollo standard denominato USB Mass Storage protocol. Tale standardizzazione ha incoraggiato l'inclusione dei driver di supporto nel file system locale da parte dei produttori di sistemi operativi quali Windows, macOS e GNU/Linux.

    Inizialmente la velocità di lettura/scrittura della memoria flash contenuta nella chiavette era molto bassa, "frenata" dalla ridotta banda passante dell'interfaccia USB, che nella sua versione originale, la 1.1, è di 12 Mbit/s. Recentemente invece quasi tutte le chiavette di nuova costruzione utilizzano le più veloci versioni 2.0 o 3.0, perfettamente retrocompatibili con la versione 1.1, e dotate di una banda passante rispettivamente di 480 Mbit/s e di 4,8 Gbit/s.

    È da precisare però che la velocità non dipende solo dall'interfaccia, ma anche dal tipo di memoria flash utilizzata, e dall'eventuale presenza di microchip dedicati all'interno della chiavetta stessa. Esistono a questo proposito in commercio alcune chiavette che contengono un piccolo microprocessore dedicato ad ottimizzare il processo di lettura/scrittura sulla memoria flash. Ovviamente la maggiore complessità di queste soluzioni relegano per il momento questi "bolidi" ad un mercato professionale di fascia alta con esigenze specifiche.

    Per recuperare i dati infatti, oltre a dover estrarre i chip di memoria (operazione comunemente denominata chip-off), è necessario collegarli a sofisticatissime apparecchiature dette “nand reader” (in base al tipo di memoria) che leggono i dati memorizzati e li scaricano sul PC. Purtroppo però i dati non sono “in chiaro”, ma generalmente criptati o “mescolati” secondo un preciso algoritmo definito dal processore installato sulla schedina elettrica della chiavetta USB. 

    Tali algoritmi, in alcuni casi, sono estremamente complicati da riconoscere ed occorre, grazie all’ausilio di particolari software di riconoscimento e di decriptazione, ricostruire e ricompattare i dati scaricati inizialmente e renderli “fruibili” e riconoscibili al sistema operativo.

    Molto spesso occorrono diverse decine di ore di studio e lavoro applicato per riconoscere gli algoritmi di decriptazione.

     

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  • Smartphone

    Nonostante le diverse caratteristiche che possono avere gli smartphone, tutti hanno al proprio interno le stesse componenti elettroniche. Scopriamole insieme.
    Lo smartphone è un piccolo computer e come tutti i pc ha bisogno di un sistema centrale che permette di avviare le applicazioni e di gestire i processi del device. Nei computer questa componente prende il nome di CPU, mentre negli smartphone ha il nome di System on a Chip che comprende, oltre al processore, anche l’acceleratore grafico e gli strumenti per comunicare.

    Sono diverse le aziende che producono SoC, ma le più famose sono Qualcomm con la serie Snapdragon, Samsung con Exynos, MediaTek con Helio e Huawei con HiSilicon Kirin.

    All'interno dello chassis, l'elemento principale che fa muovere tutto ciò che vedremo in seguito sullo schermo è la scheda madre. Questo ha tutti gli elementi di un "mini computer" che analizzeremo di seguito:

    Processore: È l'unità di elaborazione, che si occupa di eseguire tutti i calcoli e le operazioni che svolgono le attività desiderate, i marchi più popolari sono Qualcomm e MediaTek.

    GPU: È l'equivalente della scheda grafica del telefono cellulare, è responsabile dell'esecuzione delle operazioni grafiche.

    Memoria Fisica: Esistono molti tipi di memoria flash, queste memorie integrate nella scheda sono responsabili della trasmissione e della memorizzazione delle informazioni del telefono cellulare.

    RAM: La memoria RAM è la memoria principale di un dispositivo, quella in cui vengono archiviati temporaneamente i dati dei programmi in esecuzione in modo che scorrano velocemente.

    Modulo connettività: È qui che sono nascosti i diversi elementi di base della telecomunicazione, a volte inclusi nel processore stesso, quindi hai WiFi, connettività 5G e Bluetooth tra le altre tecnologie.

    Molto probabilmente una delle parti più importanti di uno smartphone è lo schermo, lo “strumento” che ci permette di interagire con il device. Al momento esistono due diversi tipi di schermo sul mercato: Amoled e IPS. Amoled è l’acronimo di Active Matrix Organic Light-Emitting Diode e ha un funzionamento molto simile agli schermi OLED: per funzionare ha bisogno di un impulso elettrico che permette di accendere tutti i vari puntini di cui è composto il display. Lo schermo IPS LCD (In-Plane Switching Liquid Crystal Display) invece, si basa sulla capacità dei cristalli liquidi di riprodurre qualsiasi tipo di colore se esposti a una fonte di calore. Rispetto agli schermi Amoled, consumano un maggior quantitativo di batteria per poter accendere lo schermo. Le dimensioni di uno schermo variano da un mino di 4,5 pollici fino a un massimo di 5,7 pollici. La qualità delle immagini dipende dalla risoluzione del display: anche in questo caso si va da un minimo di 1280 x 720 fino a un massimo di 2560 x 1440.

    Le batterie sono un elemento indispensabile, immagazzinano ed emettono l'energia di cui il telefono cellulare ha bisogno per svolgere tutti i suoi compiti, ecco perché è importante avere una buona batteria e se ha una grande capacità di archiviazione migliore. La capacità delle batterie si misura in "mAh" e generalmente un numero maggiore implica una maggiore autonomia.

    Ma la capacità non è l'unica cosa importante in una batteria, abbiamo diversi meccanismi di caricamento e anche questi sono rilevanti:

    Carica tradizionale: 5/10 W è solitamente il carico più lento

    Ricarica rapida: Quando i carichi vanno tra 20W e 90W abbiamo carichi veloci che ci permetteranno di risparmiare molto tempo.

    Ricarica wireless: Alcuni dispositivi hanno un elemento sul retro che consente loro di essere caricati per induzione con caricabatterie wireless, di solito varia tra 5W e 15W ma non dobbiamo collegare alcun cavo.

    Allo stesso modo, e anche se i cellulari hanno sempre meno connessioni, Abbiamo una serie di elementi principali come la connessione per cuffie jack da 3,5 mm, oltre a USB-C, microUSB e Lightning per la ricarica e la trasmissione delle cariche.

    Alcuni dispositivi hanno elementi diversi per trasmettere le vibrazioni, sensori ed emettitori IR con cui comandare dispositivi come televisori e condizionatori e molto altro.

    Infine, il modulo della fotocamera posteriore di solito ha da una a cinque fotocamere a seconda del produttore, e ci sono molti fattori che ne determinano la qualità come il numero di megapixel (MP), l'apertura focale o le dimensioni dell'obiettivo, tuttavia, questi sono i sensori che di solito si trovano nei dispositivi:

    Sensore principale con dimensioni standard

    Sensore grandangolare

    Sensore macro

    Inoltre, alcuni marchi utilizzano tecnologie laser o LiDAR Per offrire risultati migliori negli scatti in modalità verticale, oltre a diversi meccanismi di stabilizzazione per offrire risultati migliori nella registrazione video, ciò dipenderà dalla portata e dal valore del dispositivo.

    Parlando ora di dati, uno smartphone è in grado di salvare in memoria diversi tipi di file multimediali, file di testo come documenti, fogli di calcolo, archivi, documenti personali o di lavoro. Questi file si differenziano in base al tipo di sistema operativo installato sullo smartphone (MacOs, Android, Linux, MobileOs, WindowsPhone, ..).

    I dati possono essere salvati e recuperati dalla Memoria interna dello smartphone o dalla scheda esterna (in genere microSD) installata.

    ESTENSIONI CLASSICHE DI FILE MEDIA

    Foto: JPG, PNG, GIF, BMP, TIFF e altri formati

    Video: MOV, AVI, MPEG, ed altri formati

    Audio: WAV, OBJ, MP3, ed altri formati

    Documenti: DOC, XLS, PPT, PDF, TXT, e altro

    ALTRI TIPI DI DATI (TESTUALI O DATABASE)

    Contatti: numeri di telefono, nomi, indirizzi e-mail, indirizzi fisici, nomi di società, titoli di lavoro, siti Web e altro ancora

    Messaggi: messaggi di testo e MMS eliminati, inclusi allegati come foto e video

    Registri delle chiamate: nomi, numeri di telefono, tipi di chiamate e durate.

    SCENARI TIPICI DI PERDITA DI DATI

    Molti possono essere i fattori che comportano la perdita parziale o completa dei dati memorizzati da uno smartphone. Ecco un elenco di quelli più comuni:

    - Errori del sistema operativo

    - Scheda madre in corto (lo smartphone non si avvia)

    - Radicamento

    - Cancellazione accidentale da parte dell'utente

    - Attacco di virus

    - Caduta accidentale, schiacciamento o altri tipi di trauma da urto

    - Corruzione del file system e della tabella delle partizioni

    - Ingresso d'acqua all'interno dello smartphone, incendio o scarica elettrica.

    Per recuperare i dati persi da uno smartphone occorrono delle strumentazioni particolari e personale specializzato.

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    • Danno logico (software): in cui il supporto venga ancora riconosciuto dal BIOS del sistema.
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  • Sim Card

    Le SIM Card (Subscriber Identity Module) sono vere e proprie smart card che vengono sono in larga scala utilizzate in abbinamento ad un telefono cellulare o a dispositivi di tracciamento. Queste memorie consentono di archiviare in modo sicuro l'IMSI, ovvero un numero identificativo univoco associato ad uno specifico utente di telefonia mobile collegato ad una rete GSM o UMTS. L'IMSI rappresenta una sorta di identità internazionale di un cliente/utente.

    Le sim card sono utilizzate dagli operatori di telefonia mobile per mettere a disposizione degli abbonati connessioni per servizi voce e dati, garantendo il loro controllo.

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    Da sinistra a destra i diversi formati: SIM (1FF), Mini-SIM (2FF), Micro-SIM (3FF) e Nano-SIM (4FF)

    Le prime SIM in circolazione disponevano di 0,5, 1 e 2 kilobyte di memoria; raggiunsero in seguito gli 8 kB attorno agli anni 1998-1999, consentendo 120 posizioni in rubrica e 10 SMS memorizzabili. Negli anni successivi vi si affiancarono altri tagli, quali: 16 kB, 32 kB, 64 kB, 128 kB e 256 kB (per supportare i telefoni cellulari con tecnologia DVB-H). Infine, le SIM di ultima generazione sono provviste di 512 kB, 640 kB e 750 kB di memoria.

    Lo spazio a disposizione per la rubrica e gli SMS è cresciuto nel tempo, attestandosi a un massimo di 250 posizioni in rubrica per le SIM 2G e 500 posizioni per le SIM 3G. Il numero di SMS memorizzabili dipende dall'operatore e dalla capacità della SIM (circa 176 Byte per ogni SMS).

    I moderni apparecchi telefonici permettono di memorizzare numeri telefonici su rubriche condivise in rete e SMS sulla memoria locale rendendo, quindi, irrilevanti i limiti di immagazzinamento della carta SIM.

    L'accesso all'utilizzo della SIM è protetto da un codice PIN (Personal Identification Number) composto da 4 a 8 cifre che può essere disabilitato oppure modificato dall'utilizzatore, andando a sostituire quello preimpostato dal produttore della scheda. La SIM può essere configurata in modo da chiedere l'immissione del PIN ogni volta che si accende l'apparecchio. Dopo tre tentativi errati di inserimento del codice, la SIM non permette ulteriori inserimenti e richiede l'inserimento di un codice noto come Chiave di sblocco PIN di 8 cifre (PIN Unblocking Key o PUK in inglese), rilasciato dal fornitore di servizi al momento della stipula del contratto.

    Dopo 10 tentativi errati di inserimento del PUK, la scheda SIM è definitivamente bloccata e soltanto l'operatore telefonico può sbloccarla, dietro prova di essere l'intestatario della SIM, e rilasciare una nuova SIM. Recentemente si sta diffondendo la funzione SIM lock, dove i cellulari possiedono una funzionalità che inibisce l'uso dello stesso in caso di SIM diversa da quella registrata e, a ogni accensione del dispositivo, questi riconosce se la scheda è quella del proprietario, senza chiedere il codice.

    Le informazioni che possono essere recuperate da una SIM Card sono legate generalmente alla rubrica telefonica, allo sblocco del PIN ed all'analisi forense per la ricerca di fonti di prova in tribunale e si ottengono grazie all'utilizzo di particolari strumenti avanzati di recupero dati ed a tecnici specializzati.

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    MrDisk è un Laboratorio Specializzato nel Data Recovery dotato di tutta la strumentazione necessaria per consentire il ripristino dei dati persi da qualsiasi tipologia di caso ci venga presentato.

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    Nei nostri laboratori operano solamente tecnici specializzati e con anni di esperienza nel campo del recupero dati professionale, al fine di offrire ai nostri clienti il miglior servizio possibile.

     

    Alcune caratteristiche importanti:

    • Possibilità di avere un tecnico dedicato al proprio caso
    • Costante attività di ricerca e sviluppo
    • Tecnici specializzati su singoli supporti o brand
    • Possibilità di interventi anche estremi in camera bianca
    • Possibilità di stato avanzamento in tempo reale

     

    E’ possibile il totale recupero dati nei seguenti casi:

    • Danno logico (software): in cui il supporto venga ancora riconosciuto dal BIOS del sistema.
    • Danno fisico, sia elettrico che elettronico o meccanico (hardware): in cui il supporto venga o non venga più riconosciuto dal BIOS.

     

    Il procedimento del recupero dati in camera bianca si suddivide in due fasi: la fase di diagnosi e la procedura di recupero dati.

    Il cliente viene costantemente informato sullo stato del recupero dati.

     

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